Tendenze interne
Fin dall’inizio il PCI non ha mai avuto componenti interne organizzate e riconosciute(poichè vigeva il principio del CENTRALISMO DEMOCRATICO), peraltro vietate dallo statuto (c.d. “divieto di frazionismo“, che proibiva l’organizzazione di minoranze interne ) ma piuttosto delle tendenze più o meno individuabili (inizialmente, quelle di Amendola e di Ingrao). Le correnti si sono però via via caratterizzate, fino a divenire più individuabili negli anni ottanta.
- Miglioristi: rappresentavano la destra del partito. Eredi delle posizioni di Giorgio Amendola (sostanzialmente orientato verso una forma di socialismo democratico e riformista), i miglioristi erano radicati nel suo apparato e nella gestione delle “cooperative rosse”. Propensi ad un “miglioramento” riformista del capitalismo, non condividevano la politica sovietica (anche se a più riprese vi si conformarono), contrastarono l’estrema sinistra del ’68 e del ’77 ma anche le correnti del PCI più movimentiste o “moraliste”. Sostenevano il dialogo e l’azione comune con partiti come il PSDI e il PSI, quest’ultimo specialmente durante la segreteria di Craxi, di cui erano interlocutori privilegiati. Furono, con qualche eccezione, grandi sostenitori della svolta di Occhetto nel 1989 (firmando la mozione 1). Il leader tradizionale della corrente era Giorgio Napolitano (divenuto Presidente della Repubblica nel 2006); vi appartenevano inoltre Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Nilde Iotti, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Antonello Trombadori e altri ancora. L’area ex-diessina del PD raggruppa la maggior parte dei seguaci dei miglioristi.
- Berlingueriani: Costituivano il centro del partito, erede delle posizioni di Luigi Longo. Quest’area, formata da ex-amendoliani ed ex-ingraiani, divenne più inquadrabile durante la segreteria di Berlinguer (che la guidava). Anch’essa diffidente nei confronti della Nuova sinistra (seppur meno dei miglioristi), era favorevole al distacco dalla sfera d’influenza dell’URSS per conseguire una via italiana al socialismo, alternativa a stalinismo e socialdemocrazia. Negli anni ottanta i berlingueriani, dopo il fallimento del compromesso storico con la DC, tentarono un’ alternativa democratica da perseguire moralizzando il sistema partitico (questione morale), sviluppando al contempo una forte avversione al PSI di Craxi. Il centro del PCI si divise poi nell’ultimo congresso del 1989 tra favorevoli e contrari alla Svolta di Occhetto (mozioni 1 e 2), anche se poi in stragrande maggioranza confluì nel PDS. Berlingueriani erano, oltre a Natta e Occhetto (proveniente dalla sinistra), Gavino Angius, Tom Benetollo, Giovanni Berlinguer, Giuseppe Chiarante, Pio La Torre, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Diego Novelli, Giancarlo Pajetta, Ugo Pecchioli, Alfredo Reichlin, Franco Rodano, Tonino Tatò, Aldo Tortorella, Renato Zangheri e altri; provenienti dalla FGCI erano Massimo D’Alema, Piero Fassino, Pietro Folena, Renzo Imbeni, Walter Veltroni. Oggi sono quasi tutti divisi tra Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà; Minucci e Nicola Tranfaglia hanno aderito al Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), Folena è stato eletto in Parlamento da Rifondazione in quota Sinistra europea, mentre Angius ha lasciato SD per il Partito Socialista, per approdare successivamente al Partito Democratico[2]. Alcuni sono usciti dalla politica attiva (prima Natta, poi Tortorella e Chiarante che hanno costituito l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra).
- Ingraiani: Guidati da Pietro Ingrao, tenace avversario di Giorgio Amendola nel partito, erano per definizione gli esponenti della sinistra movimentista del PCI, molto ben radicati nella FGCI e anche nella CGIL. Questa corrente era contraria a manovre politiche considerate “di destra” e sosteneva posizioni che erano definite – non sempre in modo coerente – ‘marxiste–leniniste‘. Era poco avvezza ad alleanze con la DC (per questo motivo molti furono gli ex-ingraiani passati con Berlinguer). Molto meno diffidente di berlingueriani e miglioristi nei confronti dei movimenti del dopo ’68, riuscì ad attrarre svariati giovani proprio tra questi ultimi, spesso contrapponendoli a quelli più “ortodossi” che militavano in Democrazia Proletaria o in altre formazioni di estrema sinistra. Nel 1969 la corrente perse la componente critica legata alla rivista Il manifesto, espulsa – anche con l’appoggio di Ingrao – dal partito e poi rientratavi nell ’84. I valori principali degli ingraiani erano quelli dell’ambientalismo, del femminismo, del pacifismo. Si opposero in larga parte alla Svolta della Bolognina, costituendo il nucleo principale del ‘Fronte del No’, cioè la mozione di minoranza più consistente (la 2). Ingraiani erano Alberto Asor Rosa, Antonio Baldassarre, Antonio Bassolino, Fausto Bertinotti, Bianca Bracci Torsi, Lucio Colletti, Aniello Coppola, Sandro Curzi, Lucio Libertini, Bruno Ferrero, Sergio Garavini, Ersilia Salvato, Rino Serri e altri; dalla FGCI provenivano Ferdinando Adornato, Massimo Brutti, Franco Giordano, Nichi Vendola. Di origine ingraiana erano, oltre agli ex-Manifesto-PdUP, anche berlingueriani come Angius, D’Alema, Fassino, Occhetto, Reichlin e altri. Oggi gli ex-ingraiani sono divisi tra sinistra PD, PRC e Sinistra Ecologia Libertà.
- Cossuttiani: Forse l’unica vera e propria corrente del PCI, presente perlopiù nell’apparato partitico, comprensiva però di alcuni ex-operaisti. L’area guidata da Cossutta non voleva rompere il legame internazionalista con l’Unione Sovietica, causa di uno “strappo” lacerante che avrebbe investito anche i connotati politico-ideali in favore di una pericolosa “mutazione genetica” del partito. Erano inoltre assertori di un legame da conservare e sviluppare con tutti gli altri paesi socialisti (come quello cubano). Nel partito, giunsero a criticare con asprezza l’azione politica intrapresa da Berlinguer durante la sua segreteria, combattendo al contempo sia contro l’allontanamento progressivo dall’URSS che i tentativi di compromesso con la DC. Nel congresso della “svolta” riuscirono a conquistare solo il 3% dei voti, con una mozione (la 3), sebbene più piccola, maggiormente organizzata e meno eterogenea della seconda. Cossuttiani erano, tra gli altri, Guido Cappelloni, Gian Mario Cazzaniga, Giulietto Chiesa, Aurelio Crippa, Oliviero Diliberto, Claudio Grassi, Marco Rizzo, Fausto Sorini, Graziella Mascia. Attualmente i cossuttiani, che vengono connotati come ex-cossuttiani per la divergente strada politica intrapresa dallo stesso Cossutta (tranne Chiesa che ha seguito un diverso percorso politico-culturale) sono presenti in larga parte nel PdCI (che Cossutta ha presieduto fino alle dimissioni avvenute nel 2006) ma anche in consistenti componenti interne del Prc (“Essere Comunisti” di Claudio Grassi e Alberto Burgio, “L’Ernesto” (dal nome dell’omonima rivista) di Fosco Giannini e Andrea Catone).
- Il Manifesto: Componente di origine ingraiana nata attorno alla rivista omonima, fu espulsa dal PCI nel 1969. Esponenti più significati e fondatori poi del quotidiano avente il medesimo nome furono Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Eliseo Milani, Valentino Parlato e Lidia Menapace. La sua dura critica alla politica dell’URSS (culminata con la condanna nel 1969 all’invasione sovietica della Cecoslovacchia) le costò la radiazione del PCI. Costituitasi come soggetto politico autonomo di Nuova sinistra, nel 1974 si unificò con il PdUP (costituito da socialisti provenienti da PSIUP e aclisti del MPL) per fondare il PdUP per il comunismo, con Magri segretario. L’unione durò poco: nel ’77 l’area PSIUP-MPL uscì per confluire in Democrazia Proletaria, mentre gli ex-Manifesto inglobarono la minoranza di Avanguardia Operaia (per poco tempo) e infine il Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), mantenendo il nome PdUP per il comunismo. Nel 1983 il partito presentò propri candidati nelle liste comuniste; nel 1984 confluì definitivamente nel PCI, con gli ex-militanti del MLS. Quando si tenne il congresso alla Bolognina, la maggior parte degli ex-PdUP per il comunismo aderirono al ‘Fronte del No’. Magri e altri rimasero nel PDS per breve tempo, dopodiché aderirono a Rifondazione nel 1991. Nel 1995 lasciarono però il PRC con Garavini, dando vita al Movimento dei Comunisti Unitari che, tranne Magri e Castellina, confluì nei DS nel 1998. Oggi dirigenti ed esponenti del PdUP-MLS si ritrovano, con ruoli diversi in tutti i partiti della Sinistra. Vincenzo Vita, Famiano Crucianelli e Davide Ferrari sono nel PD, Luciano Pettinari in SD, mentre Franco Grillini ha aderito al PS. Del MLS, Luca Cafiero ha lasciato la politica attiva, Alfonso Gianni è in SEL e Ramon Mantovani in Rifondazione. I fondatori veri e propri del Manifesto sono oggi fuori dalle organizzazioni di partito.
Correnti e mozioni congressuali durante la Caduta del Muro e lo scioglimento del PCI
Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò “grandi cambiamenti” a Bologna in una riunione di ex partigiani e militanti comunisti della sezione Bolognina. Fu questa la cosiddetta “Svolta della Bolognina” nella quale il leader del Partito propose, prendendo da solo la decisione, di aprire un nuovo corso politico che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.
Nel Partito si accese una discussione ed il dissenso, per la prima volta, fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Pietro Ingrao, Alessandro Natta ed Aldo Tortorella, oltre che Armando Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta.
Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto un Congresso straordinario del Partito, il XIX, che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero:
- la prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica era quella di Occhetto, che proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice ed aperta a componenti laiche e cattoliche, che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di Segretario generale e la conferma della sua linea politica.
- la seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra fu sottoscritta da Ingrao e, tra gli altri, da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Il PCI, secondo i sostenitori di questa mozione, doveva si rinnovarsi, nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi.
- la terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso ottenne solo il 3% dei consensi.
Il XX Congresso, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, fu l’ultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi:
- la mozione di Occhetto, D’Alema e molti altri dirigenti, Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati.
- una mozione intermedia, Per un moderno partito antagonista e riformatore, capeggiata da Bassolino, che ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati.
- la mozione contraria alla nascita del nuovo partito, Rifondazione comunista, nata dall’accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno rispetto alla somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso.
Il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Rifondazione Comunista (PRC)
Il 3 febbraio 1991, il PCI deliberò il proprio scioglimento, promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l’aspetto Democratico. Una novantina di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi inglobò Democrazia Proletaria e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della Rifondazione Comunista (PRC).
Fonti prese da Wikipedia
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